Quando si parla di violenza nelle relazioni d’amore, siamo tutti convinti di sapere di cosa si stia parlando ma non è così facile ed evidente riconoscere e riconoscersi protagonista di una relazione d’amore violenta. Sappiamo che la violenza può avere diverse forme, non starò qui ad elencarle, perché la meno evidente, quella psicologica, è diventata parte naturalizzata di molte relazioni. Considerando che viviamo in una società sempre più individualista, incapace di ascoltare e predisporsi all’altro nella sua differenza, non stupisce che questa forma di violenza possa divenire parte quotidiana dell’esperienza relazionale e a volte addirittura socialmente accettata o ignorata, e quindi comunque accettata implicitamente.
Dare un nome a quello che si sta vivendo in una relazione può essere un modo per chiedersi dove si sta andando e quali compromessi si stanno inconsciamente accettando pur di non andare incontro alle proprie paure su ciò che potrebbe accadere alla relazione. Mentre la paura di chi viene controllato, criticato, reso sempre più insicuro, può essere quella di venire abbandonato, in realtà si sta trascurando che chi abbandona non è il partner ma noi stessi: accettando implicitamente le violenze stiamo abbandonando quella versione di noi stessi che per anni avevamo cercato di tenere insieme.
Perché ci abbandoniamo?
Alla violenza psicologica ci si abbandona senza ammetterlo, a volte non si hanno neppure gli strumenti per riconoscerlo e la sofferenza che si prova nella relazione d’amore ci confonde e ci fa restare, con ancor più tenacia, nel tentativo di capirne di più, ma non è la relazione il luogo per capire. La relazione d’amore violenta non può essere salvata, migliorata, risolta, se non ci si chiede in che modo ne siamo implicati, cosa ci facciamo lì e per quale ragione, in che modo, quell’amore ombroso, irrequieto, distruttivo, ci ha agganciati.
In che modo un percorso può intervenire nelle situazioni d’amore difficili?
B. mi chiede un consulto quando si trova di fronte al suo primo attacco di panico. Ha appena concluso una relazione d’amore di tre anni, senza aver capito il motivo per cui ha lasciato questo fidanzato. Il suo percorso comincia con l’intento di liberarsi dal panico e di elaborare la fine della relazione ma ben presto B. capisce che c’è qualcos’altro da considerare.
“Ci vedevamo quando voleva lui e dove voleva lui. Non mi disturbava la cosa, ma spesso era assente, altre volte appariva all’improvviso e pretendeva che fossi perfetta: nelle risposte, nell’abbigliamento, dovevo essere come lui mi voleva. Pensavo fosse gelosia, credevo fosse insicuro ma non mi accorgevo che pian piano ero io quella che diventava insicura, paurosa e nervosa. Soffrivo perché credevo di non essere abbastanza attraente, abbastanza intelligente.”
Ancora non c’era ragione per B. di pensare che in quella relazione ci fosse violenza, fin quando ha capito in che modo ne fosse rimasta coinvolta e perché proprio lei potesse essere protagonista di violenza psicologica.
“Oggi mentre mi preparavo per venire al colloquio mi è venuto come un flash, lui faceva proprio come fa mia madre: quando c’è è come se non fosse presente se non per criticarmi, mi fa dipendere totalmente dalle sue opinioni e appare quando vuole pretendendo che sia lì pronta e sempre disponibile”.
L’elaborazione di questi elementi simili tra le due relazioni, ha permesso a B. di capire che stava ripetendo qualcosa di un vissuto frustrante e che i sentimenti di rabbia inespressi che aveva provato nei confronti della madre, le consentivano di subire la stessa sorte nella relazione con l’ex fidanzato: B. si arrabbiava con se stessa invece che con lui per non sentire rabbia nei confronti dell’altro che ama, a suo modo. Un modo d’amare che attraeva fatalmente B. nella ripetizione di una relazione che la incastrava in dinamiche immaginarie già esplorate.
Al termine del suo percorso B. è riuscita a vedere che non voleva vivere l’altro come qualcuno che potesse avere mancanze e che quindi si viveva mancante, “non abbastanza”, per non affrontare e accettare le mancanze della relazione. Il suo modo d’amare è cambiato: B. può accettare di essere amata anche se non è perfetta. Questo ha segnato l’incontro con un altro amore, nel segno della differenza e non della ripetizione.
Dottoressa Angela Ciervo
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